Le ultime due campagne di prevenzione sui rischi del gioco d’azzardo sono state finanziate da due concessionari di gioco, Unibet con Adiconsum e Global Starnet Limited, dove i messaggi ruotavano entrambi sull’idea di giocare, divertirsi ma farlo sempre in modo moderato.

La prima considerazione è di natura politico-economica: in uno Stato, dove l’industria del gioco d’azzardo fattura quasi 85 mild di euro, la prevenzione sui rischi è finanziata dai concessionari di gioco, che decidono secondo la loro politica di marketing e perseguendo gli obbiettivi societari. Questo è dovuto al fatto che lo spazio per una massiccia campagna di informazione, era scoperto e,  lo Stato, garante delle salute, e che regolamenta il gioco attraverso il Monopolio, non si è assunto la responsabilità di essere l’attore principale della sensibilizzazione, fermandosi, di fatto, allo slogan  “gioca responsabilmente”.

Ma come impattano queste campagna sui giocatori, e su chi non ha mai giocato?

Prendiamo ad esempio l’ultima campagna, finanziata da Global Starnet Limited, che ha come testimonial Tania Cagnotto, campionessa olimpica di nuoto.

Lo slogan è “Tuffati nel divertimento. Non annegare nel gioco”. Questa campionessa, volto notissimo e rassicurante ci invita a “tuffarci” e divertirci. Ma quali sono i rischi che non ci spiega?

Al primo tuffo io voglio divertirmi, lei mi sorride, ma, se mi accorgo che non so nuotare, comincio ad affondare, e annego? Eppure non trovo nessun riferimento a come “poter nuotare” nel gioco. Questo perché, il gioco d’azzardo ha poco a che fare con uno sport, non è disciplina, né tecnica, né passione. E’ davvero lei la testimonial giusta?

Poi ci sono persone che si tuffano già con la voglia di annegare, persone che cercano un baratro in cui perdersi, e il gioco offre questa possibilità nel suo mare di offerte. Chi le tutela? Chi valuta prima del tuffo se io sto per passare del tempo libero, divertendomi, o sto entrando in una spirale?

I meccanismi psicologici che dettano le regole delle dipendenza sono prima di tutto personali, e tarati sulla storia di ognuno, poi si basano sulla struttura di personalità, sulla familiarità, sulla rete sociale in cui si vive, e sugli eventi che possono modificare gli equilibri. Comprendere le fragilità, le situazioni e i momenti di vulnerabilità è un lavoro complesso e non sempre siamo disposti a leggere e riconoscere i nostri limiti e di conseguenza i rischi che stiamo correndo.
Il gioco d’azzardo può diventare una dipendenza, riconosciuta e diagnosticabile. Queste campagne che incentivano al gioco, con la sola raccomandazione di essere responsabili, chiedono a tutti, indistintamente, di giocare e, questo messaggio che istiga al divertimento, è diretto ed immediato. Tuttavia sul concetto di responsabilità forse ci vorrebbero strumenti più complessi.  Perché lo Stato non si assume anche il “monopolio” sulla prevenzione concreta e corretta sui rischi?

Ci sono, poi, personaggi del mondo dello Sport che offrono la propria immagine per campagne pagate da concessionarie di gioco, forse sarebbe giusto che nell’ambito di una prevenzione oculata fosse impedito agli sportivi di “ammiccare” ai giocatori per una questione che potrebbe anche riguardare l’etica. Concetto caro a molti quando è ora di chiedere ai gestori dei bar di togliere le slot e rinunciare al proprio guadagno per non essere “complici” del baratro dentro il quale molti clienti possono cadere.

“Credo che tutto dipenda da come uno affronta il divertimento e di come ci si rapporta con il gioco: se non si esagera è qualcosa che sicuramente serve per rilassarsi. Personalmente non sono una giocatrice, ogni tanto mi è capitato in trasferta di giocare ai videogiochi con le mie compagne, ma sono piuttosto impedita con il joystick”. Tania Cagnotto

Ma una campionessa olimpica che invita a tuffarti per divertirti non è complice? O forse, anche lei vittima della poca informazione sui rischi reali del gioco d’azzardo?