Quale strumento permette una diffusione virale escludendo l’esposizione diretta di chi agisce gli atti intimidatori?  Internet nasconde il mittente ed espone il destinatario, favorendo chi, in modo maggiormente disinibito e aggressivo rispetto alla vita reale, vuole esercitare la propria violenza.

Il cyberbullismo è definito come “un atto intenzionale aggressivo, perpetrato da un individuo o da un gruppo, nel quale vengono utilizzati strumenti telematici in modo continuo nel tempo contro una vittima che non è in grado di difendersi” (Smith et al., 2008). Virtualmente ci sono numerose modalità con le quali si può agire: sms, mms, chiamate, e-mail, chatrooms, istant message e siti web. C’è poi una seconda classificazione basata sul tipo di azione o comportamento messo in atto (Willard 2006):

  • Flaming: messaggi violenti e volgari che mirano a suscitare contrasti e battaglie verbali nei forum;
  • Molestie: invio ripetuto di messaggi offensivi;
  • Denigrazione: insultare o diffamare qualcuno on line attraverso pettegolezzi o menzogne, solitamente offensive e crudeli con l’obbiettivo di danneggiare la reputazione di una persona e i suoi rapporti;
  • Furto d’identità: l’aggressore ottiene le informazioni personali e i dati di accesso (nick, passward, ecc) di un account della vittima con lo scopo di prenderne possesso e danneggiare la reputazione;
  • Outing and tricking: diffondere on line i segreti di qualcuno, informazioni scomode o immagini personali; spingere una persona attraverso l’inganno, a rivelare informazioni imbarazzanti e riservate per renderle pubbliche in rete;
  • Esclusione: escludere intenzionalmente qualcuno/a da un gruppo on line (chat, liste di amici, forum tematici, ecc.);
  • Cyberstalking: invio ripetuto di messaggi intimidatori contenti minacce e offese.

Le categorie servono a definire il tipo di aggressione  ma non esistono limiti tassativi tra una e l’altra e ciò che è più necessario individuare è il vissuto personale dei soggetti coinvolti all’interno del fenomeno (bulli e vittime). Le ricerche dimostrano come i cyberbulli, non sono in grado di comprendere l’effetto delle proprie azioni e le conseguenze sulla vittima, questo genera in loro un “disimpegno morale” che amplifica l’aggressività del bullo e alimenta un vero e proprio processo di dissociazione tra la vita on line e off line (Genta, Brighi, Guarini, 2009).

Nel cyberbullismo c’è anche una partecipazione di altri personaggi che fungono da “spettatori”, i cosidetti bystanders, che osservano il fenomeno ma non intervengono a difesa della vittima, e condividendo  video, post e foto sui social alimentano la portata dell’azione e di conseguenza la sua pericolosità, contribuendo alla vittimizzazione del destinatario.

Il 52,7%, quindi un adolescente su due, è stato vittima di bullismo o cyberbullismo. Le vittime sono maggiormente  le ragazze, ciò è dovuto probabilmente alla maggior propensione delle ragazze-adolescenti ad utilizzare il telefono cellulare e a connettersi a Internet che le espone di più ai rischi. E’ ciò che emerge dagli ultimi dati dell’Istat nel report “Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi” (Dicembre 2015). Tra le 11-17enni si registra, infatti, una quota più elevata di vittime: il 7,1% delle ragazze che si collegano ad Internet o dispongono di un telefono cellulare sono state oggetto di vessazioni continue tramite Internet o telefono cellulare, contro il 4,6% dei ragazzi.

Come in tutti i fenomeni che trovano nel virtuale la loro controparte rispetto al reale, i confini dei gesti e le dirette risposte dell’altro sono filtrate e in qualche caso annullate, poiché non si vede la reazione della vittima e non si prova l’emozione di averla di fronte mentre si esercita la violenza (sia essa psicologica o fisica). Questa modalità riduce la comprensione della gravità dell’accaduto nel bullo e negli spettatori, generando confusione nella vittima. Oltre alla solitudine, che è una componente che caratterizza la rete, essere vittime virtuali di bullismo può essere devastante per la mancata concretezza e visibilità degli aggressori, generando dentro alla vittima un baratro emotivo di difficile comprensione.

La padronanza degli strumenti tecnologici, il loro utilizzo e la valutazione dei rischi sono certamente il primo passo per tutelarsi dagli attacchi, ma anche preferire forme di comunicazione reali può facilitare una richiesta di aiuto tempestiva. Forse un passo verso la “libertà” è quello di uscire dalla rete ogni volta che attrae troppo, seduce, inganna e, in questo caso spaventa o addirittura terrorizza.