Pensiamo agli abbracci, a quelli cha abbiamo dato, a quelli che ci mancano in questo momento e a quelli che daremo.
Abbiamo avvertito un senso di benessere? Quali sono state le nostre sensazioni? Che emozioni abbiamo provato?
Gli abbracci che ci diamo durano sempre troppo poco, ma sappiamo che un se vengono dati da una persona cara possono regalare sensazioni di benessere, trasmettere affetto, fiducia e protezione.
La psicologia è molto interessata al rapporto fra abbracci e benefici psicofisici. Recenti sudi hanno dimostrato che se un abbraccio dura almeno venti secondi, si verifica un vero e proprio effetto terapeutico sul nostro corpo e sulla nostra mente.
L’abbraccio è un gesto primordiale che trasmette calore e protezione. Il nostro corpo stretto ad un altro riesce a sprigionare energia positiva, per questo, il contatto fisico è necessario per il benessere psicologico, emotivo e corporeo.
La professoressa Darcia Narvaez, che insegna psicologia all’University of Notre Dame, in una ricerca del 2016 ha dimostrato che abbracciare influisce in due modi sulla crescita del corpo umano durante l’infanzia: 1) aiuta lo sviluppo del nervo vago, uno dei più importanti nervi cranici, importante per le emozioni in età adulta; 2) produce ossitocina, ormone importante durante gravidanza e allattamento. Le persone che sono state coccolate da bambini crescono più felici da adulti.
Ogni persona ha la sua modalità di abbracciare gli altri: c’è chi lo fa in modo avvolgente, chi lo fa con una forte stretta, chi è freddo, chi si irrigidisce, chi si sottrae.
A prescindere dalla modalità, che cosa succede quando ci abbracciamo?
Durante un abbraccio le persone si contattano a livello sensoriale, c’è un contatto con alcune parti del nostro corpo, utilizziamo quindi il tatto, possiamo notare che effetto ci fanno i tessuti degli indumenti che l’altra persona indossa; con l’olfatto sentiamo gli odori, attraverso l’udito possiamo percepire il respiro dell’altro, il tono della voce, il battito del cuore… insomma, tutta la nostra percezione è stimolata.
Inoltre, attraverso la nostra percezione possiamo sentire noi stessi, alcune parti di noi, come ad esempio la schiena o le spalle, ma non solo, attraverso l’abbraccio possiamo veicolare messaggi all’altro. Possiamo così trasmettere empatia, comprensione, intimità, ma anche distanza e rifiuto.
Un buon modo per sperimentare la diversità nell’abbraccio l’ho trovata nel tango argentino. Questo tipo di ballo esprime tutta la sua magia nell’abbraccio stretto, nel contatto da cuore a cuore. “Il tango è un abbraccio in movimento” e il modo in cui abbracciamo il nostro partner racconta molto di noi; nel tango, così come nella vita, non troveremo mai due abbracci uguali, perciò, attraverso l’abbraccio possiamo sentire la nostra e altrui unicità.
Un abbraccio comodo lascia libertà di movimento e respiro all’altro e allo stesso tempo ci fa sentire accolti e protetti. Nell’abbraccio chiuso le sensazioni e le percezioni sono amplificate, se ci sono tensioni o preoccupazioni, il partner lo percepirà. L’intenzione che noi mettiamo nell’abbraccio è ciò che il nostro partner percepirà.
La bellezza di un incontro si può sintetizzare in un abbraccio, quel contatto che ci riporta al paradiso simbiotico vissuto nel ventre materno. Come sottolineano Erving e Miriam Polster, due importanti terapeuti della Gestalt, la nostra posizione originaria è quella dell’unione. Con il nascere ha inizio la separazione e con essa inizia a presentarsi la polarità tra la tendenza ad essere unito con l’oggetto, quindi con l’ambiente, e la necessità di essere separato, cioè di sviluppare una differenziazione, originariamente dalla figura primaria di attaccamento e in seguito dal resto.
La capacità di muoversi in maniera armoniosa tra queste due polarità è ciò che si può definire un buon contatto.
Ecco allora che attraverso l’abbraccio possiamo fare esperienza di questa polarità e scoprire che il contatto non è semplicemente uno stare insieme, o un essere uniti. Al momento dell’unione, non sono più soltanto me stesso, ma Io e Tu siamo ora Noi.

Articolo a cura di:
Dott.ssa Federica Gregori
Psicologa clinica e di comunità
Educatrice competente in assistenza scolastica
Psicoterapeuta Gestalt in formazione

 

Erving Polster, Miriam Polster, 1986 Terapia della Gestalt integrata, Milano, Giuffrè Editore.
Sergio Mazzei, Meccanismi di difesa e resistenze al contatto, n.12 Formazione IN Psicoterapia, Counselling, Fenomenologia